Uomo, lavoro e diversità

A Div.ergo parlare di dignità della persona e di lavoro è un unico parlare.

Quale riconoscimento dell’uomo e del suo valore può prescindere, infatti, dal considerarlo parte viva e attiva di un tessuto sociale? 

La familiarità con i concetti di integrazione sociale e di identità di cittadino, in una cultura condivisa, globalizzata come è la nostra – in cui la capacità di coesistere di soggetti diversi è disegnata soprattutto dalla tecnica e dall’economia – ci porta, quasi inconsciamente, a pensare che l’ideale della vita comune è in un ordine sociale egualitario e liberatore per ogni individuo.

Ma come si attua poi, per ogni uomo, questa liberazione della vita, questa uguaglianza, questo desiderio di realizzare la propria umanità, se essa esiste soltanto in situazioni storiche particolari, uniche, irripetibili, e quindi limitate?

Se ci guardiamo intorno, non è difficile accorgerci che socialmente il valore della realizzazione di sé, del successo personale, sentito e riconosciuto come fondamentale, è perseguito a scapito del prendersi cura di sé. La spinta che si riceve dal contesto è verso una pratica della vita quotidiana il cui imperativo è: “devi essere funzionale, devi superare il tuo limite”. È chiaro che non ci può essere spazio per il confronto con il proprio essere uomo e con la propria verità profonda, che contempla anche la dimensione debole e mortale. Tanto meno ci può essere per chi, uomo o donna, declina il proprio limite in quel modo che socialmente è definito “diversa abilità”, un modo – questo – che evidentemente contiene un’accezione non vincente del termine “diversa”, visto che le abilità di ciascuno non possono che essere… diverse!

Se il lavoro, nella nostra cultura, serve all’uomo per incarnare i valori del farsi con le proprie mani, del passare vincitori al vaglio del giudizio altrui, del rispondere in modo efficiente alle attese, del non mancare all’appuntamento col successo, a scapito di tutto e di tutti: il lavoro, dunque, può mai essere uno dei luoghi in cui prende consistenza la propria umanità?

Eppure il lavoro può essere ridisegnato secondo nuove geometrie: il luogo in cui essere riconosciuti uomini uguali agli altri, con la dignità di esprimersi per come si è, con la libertà di creare relazioni in cui si vince la solitudine e l’isolamento, secondo assi di solidarietà e responsabilità che rendono valida la ricerca di senso per ogni vita solo se considerata insieme a quella degli altri.

Maria Teresa Pati

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