Editoriale

Cultura, pane quotidiano

Cultura. Il suono di questa parola rimbalza all’interno dell’orecchio, le vibrazioni sonore giungono fino all’organo di Corti che si dà un gran daffare per trasformarle in informazioni nervose, così che il cervello possa interpretarle. E qui scatta il via a interpretazioni e connessioni che il nostro cervello elabora. 

Se avete intorno ai 18-20 anni, a questo punto viene fuori uno sbadiglio, si sa… 

Invece, per chi è intorno ai 30 e oltre, sentire Cultura fa fluire a grappolo pensieri: forse – a partire dalla vostra formazione classica – intenderete Cultura come educazione dell’uomo ad una vita propriamente umana, sociale, partecipazione alla comunità più vasta e, insieme, esercizio delle attività intellettuali. Oppure Cultura è comunicabilità del sapere a tutti gli uomini, quello conquistato dall’umanità nel corso della sua storia che continuamente si accresce. Altri penseranno Cultura come l’insieme delle abitudini e di tutte le capacità acquisite e trasmesse socialmente, per cui significherà modi propri di vita, differenti per luoghi, storia, sistemi di valori, regole di comportamento concreto dei membri di una società. Per altri ancora sarà dire modi di sentire, pensare e agire appresi e condivisi da una pluralità di persone, modi simbolici e oggettivi che servono a costituirci membri di una collettività particolare…

In Laboratorio Cultura è pane quotidiano, un pane saporoso e ricco di tante cose, un pane che si impasta insieme, che contiene tanti sapidi ingredienti attinti altrove, comunque lavorati, rielaborati ed esperiti insieme. 

Avete capito bene: la Cultura in Laboratorio è una cosa che si fa, come si fanno il decoro di un portaombrelli, i capelli delle piccole Frida, i fiori di carta colorati costruiti unendo frammento su frammento di leggerissima velina. Si fa usando le mani, i piedi, i sogni, i desideri, lo sguardo e le orecchie, la memoria, i propri vissuti. La Cultura, negli obiettivi del Laboratorio, è al primo posto. L’ultimo Progetto Culturale del Laboratorio recita così: “…. Con le sue creazioni artistiche è un segno visibile di quanto la partecipazione nella società delle persone con disabilità accresca il senso di appartenenza e contribuisca significativamente allo sviluppo umano e sociale del territorio. Con la sua azione culturale, è laboratorio di benessere, di qualità della vita, di libertà e di autonomia” e poi “…l’esperienza di una vita diversa possibile è un bene preziosissimo di scambio che il Laboratorio promuove fra tutti. Questo scambio si realizza favorendo il dialogo con la diversità degli altri, proprio fra tutti, e con iniziative intenzionali e mirate di contatto, confronto, fruizione e di elaborazione con le opere dell’arte, della letteratura e della musica, con le esperienze attuali e passate di impegno sociale, di attenzione, cura e promozione del noi presenti nel mondo che è la città e nel mondo più vasto”. 

Per quanti sono ogni giorno in Laboratorio queste non sono solo parole. Sono la traccia su cui scegliere cosa fare, di cosa parlare, quali viaggi intraprendere, con lo studio e con i piedi, che cosa leggere insieme, di quali notizie parlare e su che cosa riflettere, quali oggetti o decori nuovi realizzare. 

Allora Cultura diventa crescita nell’autonomia, che è vera se lascia spazio all’interdipendenza, diventa libertà di autodeterminarsi, cambiamento di ciascuno, ampliamento delle esperienze sociali, realizzabilità dei desideri, investimento delle abilità e delle capability che sono presenti in tutti, rapporto con proprie possibilità e i propri limiti. E si traduce in un viaggio a Parigi per vedere dal vivo le opere degli Impressionisti; studio di Warhol, servizio della merenda, pulizia degli ambienti, lettura di un libro (in questo momento il giallo Le mogli hanno sempre ragione, di Luca Bianchini), riflessione e creazione corale del packaging del Laboratorio, feste insieme, commento dei fatti di cronaca, chiacchiere sulle esperienze vissute il sabato con gli amici, studio e visione di un’opera lirica… e tanto altro ancora. Sì, in Laboratorio dire Cultura è un modo sintetico per dire vita quotidiana condivisa.

Maria Teresa Pati

2020-2021: Ininterrottamente insieme

artisti

 

Dicevano che non era possibile

E che lo sforzo sarebbe stato inutile

E invece eccoci qui….

Perché si può vedere

Persino in questa nebbia

Che a rimanere insieme

Magari poi stavolta qualcosa cambia…

Così cantava Silvestri nel 2019: un singolo a cui sono molto legata e che, di recente, ho associato anche all’esperienza del laboratorio.

2020 e 2021 sono anni che speriamo tutti di ricordare come eccezionali, a cui speriamo tutti di non dover mai tornare per il carico di male, di paura, di morte che hanno portato con sé.

Il Laboratorio, in questo tempo, dopo un iniziale momento in cui siamo stati frastornati, sgomenti, ha ripreso a funzionare come sempre e, nel secondo periodo di chiusura, come ogni ambiente di lavoro, ha scelto di restare aperto. Certo, soltanto per i lavoratori, che riprendevano pennello, colori e resina in mano; chiuso ai clienti, ma illuminato e con tutti gli artisti alle loro postazioni, attenti solo a non sovraffollare gli ambienti. Su Corso Vittorio Emanuele, in quel periodo, eravamo l’unico negozio con la saracinesca sollevata. Quasi un avamposto di speranza.

“Vedere che c’eravate mi ha dato luce”, ci ha detto un cliente che quotidianamente ci sorrideva dalla vetrina; “Trovarvi aperti, oggi, mi commuove. Come avete fatto a resistere?”, ci ha chiesto con voce rotta dall’emozione un turista veneto che è tornato a Lecce con la sua famiglia, dopo 3 anni, ed è subito venuto a cercarci.

Non è stato facile, ma noi non abbiamo mai pensato di chiudere. E questo perché le realtà che diffondono la Vita sono un po’ come l’acqua: in certi periodi possono avere un corso carsico, in altri possono ridursi a rivoli quasi impercettibili, ma penetrano e riempiono quei terreni pronti ad accogliere quanto rigenera e fa rifiorire.

Abbiamo attraversato il secondo lockdown a porte chiuse, quindi, ma a luci accese, con tanta voglia di ritornare liberi. E poi, liberi siamo ritornati: tutti presenti, tutti al lavoro, tutti con qualcosa di diverso nel cuore e nei modi di fare, qualcosa che si è rivelato e continua a emergere, ad affiorare anche in questi mesi.

Alle prese con tanti ordini, ho chiesto agli artisti di essere rigorosi negli orari, di non mancare per motivi futili, di tenere il ritmo di lavoro. All’inizio, qualche perplessità: “Quindi non posso decidere di rimanere a casa il sabato mattina?”; “ma se il pomeriggio non mi va di venire, non posso?”, “E se faccio tardi, per aspettare un’amica che succede?”. Dinanzi ad un no motivato e chiaro, dopo un’esperienza in cui è stato necessario fare i conti con le conseguenze, ho visto prendere forma, pian piano, una responsabilità e una consapevolezza del proprio compito, delle scadenze, dell’organizzazione generale, del valore della collaborazione mai visti prima. Il gruppo dei pittori è stato disponibile a fare gli straordinari, quando la data di consegna di 80 o 110 pezzi dipinti, cotti e confezionati richiedeva un’accelerata; tutti hanno assolto ai propri compiti di riordino, pulizia e cura del Laboratorio senza dover essere pregati; ciascuno, nel lavoro, ha trovato i colleghi attenti e pronti a intervenire quando era necessario un aiuto, un favore, una collaborazione. E anche il viaggio, che finalmente abbiamo potuto fare, sulle orme di Modigliani e di Paganini, ha visto un gruppo che in termini di autonomia e consapevolezza ha fatto un balzo in avanti davvero notevole. Prossima meta sarà, allora Parigi!

Sì, per noi, dopo il lockdown, qualcosa è davvero cambiato.

 

Maria Teresa Pati

Mettere su casa

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Mettere su casa, una casa propria, è uno dei sogni nel cassetto più grandi che, da sempre, uomini e donne hanno coltivato.  Avere uno spazio tutto per sé, da arredare fino a sentirlo quasi un abito che rappresenta la propria personalità, specchio del proprio essere, un luogo in cui dare corpo a quella dimensione affettivo-emotiva dell’esistenza che, partendo dal sentirsi al sicuro, cerca e promuove l’incontro con gli altri. 

È un passaggio da adulti mettere su casa, la psicologia dell’abitare ci informa che la definizione di ogni persona, dell’io di ciascuno, passa anche attraverso la definizione dell’ambiente in cui si vive quotidianamente.

E allora? Allora se pensiamo ad una vita umana, che sia veramente umana per tutti, è necessario pensare anche a costruire una casa insieme a chi quest’esigenza ce l’ha, ma ha bisogno di aiuto, non solo dall’architetto o dall’interior designer, per darle forma.

La Fondazione Div.ergo - ONLUS ha comprato casa. Non casa per sé, ma una casa per gli Amici che partecipano ai suoi progetti, perché possano sperimentare e costruire questo pezzo della propria identità, possano immaginarsi e provarsi nella vita autonoma, dando spazio al loro essere adulti, al bisogno di autodeterminarsi, di condividere la vita quotidiana con altri non nella dimensione della figliolanza, ma dell’adultità e dell’amicizia.

Ora la casa è tutta da costruire: si trova in un quartiere molto bello della nostra città, ma all’interno deve cambiare forma. Sarà a misura di chi la abiterà, perché ciascuno abbia spazi per l’intimità e per la condivisione; spazi per ricrearsi e per realizzare quanto la vita quotidiana chiede di fare per vivere. Sarà una casa non di riposo, ma in cui vivere, gioire, lavorare, ospitare e condividere con altri, dando spessore ai desideri, alla novità di ciò che si può imparare, al coraggio di pensarsi grandi, non gli eterni bambini che hanno bisogno di essere accuditi.

Per la Fondazione Div.ergo, il progetto di avere una casa per gli Amici viene dopo quello di offrire loro un lavoro. Ad oggi, abbiamo dato vita a 7 contratti part-time, grazie anche al sostegno e all’aiuto di enti privati e di persone generose che ci sostengono. E questo è un segno che ha preso corpo nella nostra città. Avendo il pallino dell’inclusione, però, non possiamo non  spingerci oltre e mettere le fondamenta – è il caso di dirlo – anche ad un futuro pensato in autonomia per quattro dei nostri Amici con disabilità che vorranno lanciarsi in questa nuova conquista di libertà e pienezza di vita.

Maria Teresa Pati 

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