Incontri nella storia

Vermeer, il pittore della luce

“Fermiir, non Vermeer!” Neanche inizia l’intervista che già mi correggono in coro sulla pronuncia del suo cognome. Johannes di nome, Delft la sua città di origine, mi dicono.

Preciso lui, precisi gli artisti di Div.ergo. Gabriele dice che lavorava “concentrato, piano e tranquillo” facendo con le mani al viso il gesto dei paraocchi. “Era lento a dipingere, come Andrea”: per descriverlo, Federica lo paragona ad uno nei nostri decoratori della ceramica, talvolta troppo meticoloso.

Ha fatto tanti quadri, mi è piaciuto quello… della bilancia (“La pesatrice di perle”) per il volto della donna e perché pesa, come faccio io”. Lo dice Arianna mentre con il suo bilancino di precisione dosa, al decimo di grammo, i pezzi di resina che darà a Federica affinché li modelli.

A me quello della lettera d’amore. – dice Aurora – C’è una ragazza che legge una lettera d’amore, è colta di sorpresa da una donna delle pulizie. Non si aspettava che venisse la donna dietro di lei.” La vita quotidiana di una dimora olandese del Seicento le è ora più vicina, più familiare.

Una delle opere più celebri di Vermeer è la ragazza con l’orecchino di perla. “È la donna con il turbante!”, altra rettifica corale subita dall’intervistatore. “Era elegante, era bella, con quell’orecchino!” completa Lucy.

Per chi in Laboratorio si occupa di decorazione, Johannes Vermeer ha lasciato il segno perché – soffermandosi per più di un mese su di lui – gli artisti ne hanno scoperto e amato la qualità e la raffinatezza tecnica. Mattia: “Mi è piaciuto molto di Vermeer la luce che dà alle opere”; anche Giuliano è sulla stessa lunghezza d’onda: “Ho capito che è importante per come creava la differenza di luminosità tra gli oggetti, quindi il chiaroscuro. Mi chiedo come mai dava tanta importanza al chiaroscuro”.

Le opere le elenca Andrea, sono entrate nel suo immaginario: “La città di Delft: sembra una foto, poi la donna con il turbante. Dipinge con i colori ad olio, li abbiamo fatti anche noi”. Da Federica apprendo che i materiali per i pigmenti – costosissimi – glieli comprava la suocera.

Per rendere merito alla dedizione di Vermeer, hanno approfondito ed usato i suoi stessi metodi: la camera oscura, la prospettiva. Giulio che negli anni si è appassionato sempre più di pittura e di tecniche, tanto da comprare periodicamente, da sé, libri e illustrazioni: “mi sono piaciute tanto le tecniche, come dipingeva e il punto di fuga. Abbiamo fatto la prova con la scatola, con la camera oscura, come faceva lui”. Giuliano riprende: “Disegnava le linee e il punto di fuga, che sarebbe quando due linee si uniscono in un punto, per rappresentare meglio la realtà”.

“I quadri li vendeva per sfamare i suoi figli. Ne aveva 5.” Aggiunge Federica. “Noo! Dieci!” corregge Lucy. Sui numeri si dibatte ancora un po’, in ogni caso si capisce che non solo le sue opere ma anche le vicende biografiche di Vermeer sono ora un patrimonio caro ai nostri Artisti. Immaginiamo che il pittore olandese ne sarà felice.

 

Vermeer, il pittore della luce

“Fermiir, non Vermeer!” Neanche inizia l’intervista che già mi correggono in coro sulla pronuncia del suo cognome. Johannes di nome, Delft la sua città di origine, mi dicono.

Preciso lui, precisi gli artisti di Div.ergo. Gabriele dice che lavorava “concentrato, piano e tranquillo” facendo con le mani al viso il gesto dei paraocchi. “Era lento a dipingere, come Andrea”: per descriverlo, Federica lo paragona ad uno nei nostri decoratori della ceramica, talvolta troppo meticoloso.

Ha fatto tanti quadri, mi è piaciuto quello… della bilancia (“La pesatrice di perle”) per il volto della donna e perché pesa, come faccio io”. Lo dice Arianna mentre con il suo bilancino di precisione dosa, al decimo di grammo, i pezzi di resina che darà a Federica affinché li modelli.

A me quello della lettera d’amore. – dice Aurora – C’è una ragazza che legge una lettera d’amore, è colta di sorpresa da una donna delle pulizie. Non si aspettava che venisse la donna dietro di lei.” La vita quotidiana di una dimora olandese del Seicento le è ora più vicina, più familiare.

Una delle opere più celebri di Vermeer è la ragazza con l’orecchino di perla. “È la donna con il turbante!”, altra rettifica corale subita dall’intervistatore. “Era elegante, era bella, con quell’orecchino!” completa Lucy.

Per chi in Laboratorio si occupa di decorazione, Johannes Vermeer ha lasciato il segno perché – soffermandosi per più di un mese su di lui – gli artisti ne hanno scoperto e amato la qualità e la raffinatezza tecnica. Mattia: “Mi è piaciuto molto di Vermeer la luce che dà alle opere”; anche Giuliano è sulla stessa lunghezza d’onda: “Ho capito che è importante per come creava la differenza di luminosità tra gli oggetti, quindi il chiaroscuro. Mi chiedo come mai dava tanta importanza al chiaroscuro”.

Le opere le elenca Andrea, sono entrate nel suo immaginario: “La città di Delft: sembra una foto, poi la donna con il turbante. Dipinge con i colori ad olio, li abbiamo fatti anche noi”. Da Federica apprendo che i materiali per i pigmenti – costosissimi – glieli comprava la suocera.

Per rendere merito alla dedizione di Vermeer, hanno approfondito ed usato i suoi stessi metodi: la camera oscura, la prospettiva. Giulio che negli anni si è appassionato sempre più di pittura e di tecniche, tanto da comprare periodicamente, da sé, libri e illustrazioni: “mi sono piaciute tanto le tecniche, come dipingeva e il punto di fuga. Abbiamo fatto la prova con la scatola, con la camera oscura, come faceva lui”. Giuliano riprende: “Disegnava le linee e il punto di fuga, che sarebbe quando due linee si uniscono in un punto, per rappresentare meglio la realtà”.

“I quadri li vendeva per sfamare i suoi figli. Ne aveva 5.” Aggiunge Federica. “Noo! Dieci!” corregge Lucy. Sui numeri si dibatte ancora un po’, in ogni caso si capisce che non solo le sue opere ma anche le vicende biografiche di Vermeer sono ora un patrimonio caro ai nostri Artisti. Immaginiamo che il pittore olandese ne sarà felice.

 

Jeeves!

novecento

C’è poco da dire. Novecento è una testa dura come pochi.

Come Peppone, peraltro. Per fortuna che lui, almeno, ha Don Camillo, che lo fa ragionare con un po’ di forza e un po’ di astuzia. Che coppia quei due! Qualche giorno fa si sono visti di nuovo, e Giulio non s’è lasciato scappare l’occasione di incontrarli.
Ma l’amarezza per l’amicizia di Hans e Konradin… Quella non ha paragoni.
Sì, è vero, poi in qualche modo si sono ritrovati, ma quanta sofferenza per quell’amicizia così bella e presto sfiorita.
E poi c’è Jeeves. Ah, chi non vorrebbe un Jeeves accanto, qualcuno che si faccia sempre trovare pronto, che abbia una soluzione, che non ti faccia mai sentire del tutto perduto?
O, più prosaicamente, qualcuno che faccia le cose al posto tuo?
Caro, mi prendi le salviette? Cara, mi passi la resina color lavanda?
E lì, chi si ricorda di non abboccare subito all’amo di un collega che sta provando a dotarsi di maggiordomo a servizio, ha la battuta pronta. Lo sguardo rivolto altrove, le mani che battono un colpetto con eleganza, e:

Jeeves!

Chiamiamo Jeeves, ma Jeeves non arriva. Perché Jeeves, il maggiordomo tuttofare con una marcia in più, non c’è. Se non in quel mondo interiore che via via si allarga in ognuno degli artisti del Laboratorio per ospitare storie, personaggi, avventure, amicizie, nate dalla penna di qualche scrittore e giunte fino a noi, per diventare un patrimonio comune.
E insieme a Jeeves, in questo mondo sempre più popolato, ci sono il leggendario pianista sull’oceano col suo amico trombettista, il sindaco comunista di Brescello con il suo acerrimo amico, quel parroco che parla con il Crocifisso, e ancora due ragazzi tedeschi, separati da una enorme tragedia e ritrovatisi amici in modi e tempi inattesi, e Bertie, quell’aristocratico pasticcione che senza Jeeves non caverebbe un ragno dal buco.
Gli ultimi arrivati sono un trio niente male: un pacatissimo gentleman inglese, il suo domestico con trascorsi da trapezista e una giovane e bellissima principessa indiana. I tre si sono messi in testa di girare il mondo intero in meno di tre mesi, e non dispongono certo di aerei!
Una tribù variopinta, storie di ogni tempo e senza tempo.
In Laboratorio coltiviamo da un po’ il piacere della lettura. Non un piacere solitario, da gustare in silenzio nel proprio comodo cantuccio. Il nostro è un piacere collettivo, fatto di lettura ad alta voce e ascolto assorto, reazioni in tempo reale e commenti a freddo, appuntamenti attesi e puntate da recuperare quando si è stati assenti, memorie comuni e scoperte continue.
Leggere come abitudine di cura dell’interiorità, e allo stesso tempo come atto fortemente comunitario.
Ancora una pagina, dai, poi torniamo al lavoro.

Vito Paradiso

Laboratorio - Lecce

Corso Vittorio Emanuele II, 36-38
338 349 4274
info@divergo.org
Cookie Policy

Bottega - Santeramo

via F. Netti, 31
324 882 6733
santeramo@divergo.org

Officina - Lecce

via del Mare 
info@divergo.org

Questo sito utilizza cookie atti a migliorare la navigazione degli utenti.
Chiudendo questo banner tramite il pulsante "ACCETTA" e proseguendo la navigazione sul sito se ne autorizza l'uso in conformità alla nostra Cookie Policy