Diversità che diventa alterità?

Chi viene a Div.ergo sa di incontrare un mondo di cose, di colori, di arte, di fantasia, di incontri che si dispiega sotto gli occhi di chiunque lo voglia vedere. 

A Div.ergo accade – ed io ne sono testimone – che quanti hanno gli occhi e non vedono, pur credendo di vedere, scoprono di iniziare a vedere. Scoprono, cioè, che la consistenza della vita, l’essere soddisfatti, contenti, il dare tempo ai propri giorni invece di ingurgitarli in vista di chissà quale chimera posta nel domani, sono cose che dipendono da relazioni con gli altri in cui si investe ogni dimensione della propria persona e non solo le proprie capacità o la propria intelligenza.

A partire da questa esperienza spicciola, captata sui volti di alcuni volontari e di alcuni visitatori del Laboratorio che ci guardano stupiti e sorridono, mi permetto di parlare di diversità in termini esistenziali, lasciandomi guidare dal pensiero di Lévinas.
Quando pensiamo noi stessi, quando ci fermiamo a riflettere sulla nostra vita e ce la rappresentiamo, lo facciamo all’interno della realtà. Certo, dovremmo accordarci sull’idea di realtà… per alcuni è quanto esiste effettivamente, si fa, accade, è vero; per altri la realtà perde i confini dell’esistente e diventa sempre più virtuale, per i più piccoli ha molti tratti fantastici. Qualunque sia l’accezione, la realtà è pur sempre qualcosa che consideriamo abitata da noi, spalancata al nostro io, sicuramente non identificabile con noi stessi, però fatta di cose di cui possiamo appropriarci liberamente, messe lì a nostra disposizione.

Però – e c’è sempre un però – nella realtà, oltre alle cose che possiamo prendere, lasciare, dominare, possedere, modificare a nostro piacimento c’è anche l’altro che, come noi, abita, attraversa e spalanca con la sua azione e il suo movimento lo stesso mondo, dando alle cose altre destinazioni possibili.
Ecco: è proprio quest’altro concreto, attivo, che esiste indipendentemente dai nostri fini, che ci mette in crisi e a cui possiamo reagire da vedenti ciechi.
Cosa possiamo fare dinanzi all’altro? Possiamo inglobarlo o schiacciarlo con il potere delle nostre parole, delle idee, delle nostre abilità e, più banalmente, con quello dei nostri soldi; possiamo anche essere spiazzati dal fatto di cogliere – da un quid qualsiasi – che si presenta così com’è, con tutta la sua franchezza, senza difese.
È in questi casi che si ha dinanzi l’apparizione di un altro. Riusciamo a vedere un altro: colui che in qualche modo ci è estraneo e rimane tale, non assorbibile nella nostra identità, libero e diverso, straniero, anche se ci prendiamo la briga di disporre di lui. L’altro: colui che amiamo, ma che non ha per questo le sue radici dentro di noi, né esiste semplicemente per completarci. L’altro: colui che rimane di fronte a noi, con cui siamo faccia a faccia, da cui quindi siamo separati grazie ad una distanza profonda che ci impedisce di stare fianco a fianco, posizione che priva ciascuno della possibilità di contemplare l’unicità del volto dell’altro.

A Div.ergo si impara presto a vedere il rischio esistenziale di una vita di relazioni in cui non si esce mai da se stessi e si rimane chiusi fra le cose.
A Div.ergo siamo partiti dalla diversità di ciascuno dei volontari e dei lavoratori: l’abbiamo cercata, ci ha colti in contropiede, ci ha fatto sia indietreggiare che forzare la mano, poi l’abbiamo ammirata e valorizzata; ora, sgranando bene gli occhi giorno per giorno stiamo approdando all’alterità di ognuno. Questa è una ricchezza per l’esistenza di tutti.
A Div.ergo l’altro ci è immancabilmente di fronte, irriducibile a noi stessi, sempre capace di ribaltare le rappresentazioni che ci facciamo di lui. Come facciamo a sopravvivere a questo continuo terremoto? Ci guardiamo negli occhi, invece di guardare i nostri personali pensieri sull’altro.

Maria Teresa Pati

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