Lunatici? Depressi? Meteoropatici?
Lunatici? Depressi? Meteoropatici?
Un po’ ci scherziamo con questi termini, un po’ fanno parte del modo di descrivere il nostro umore oppure del linguaggio che usiamo quando ci lanciamo nelle interpretazioni del comportamento di qualcuno che ci coglie di sorpresa, ci mette in allerta perché non risponde a quanto ci aspetteremmo da lui.
In realtà non siamo in pochi ad avvertire l’influenza dell’umidità, della temperatura, della pressione atmosferica e della luminosità sul nostro umore: fa parte della nostra cultura da sempre, ma assolutamente non del pensare di essere affetti da una patologia. C’è chi avverte il disagio del cambio di stagione in inverno, chi con l’arrivo della primavera e poi per tutta l’estate… C’è da dire che i manuali di psichiatria ne parlano, con il nome di Disturbo Affettivo Stagionale, e il DSM-V cita queste situazioni come Disturbo Depressivo Maggiore Ricorrente con andamento stagionale. Ma se entriamo in quest’ambito le cose si complicano… e non è il nostro campo.
Parliamo invece del Laboratorio, dove gli Artisti avvertono tutti, in modo diverso, l’arrivo della primavera, e non solo per la gioia di poter stare all’aria aperta, di poter godere di un tempo di luce maggiore, di non soffrire più il freddo…
Musi lunghi o suscettibilità; mutismo improvviso o logorrea; scarsa voglia di lavorare o alta irritabilità; sonno o rispostacce… e qualche volta anche le lacrime. In questa stagione, giorno per giorno ci confrontiamo con qualcuna di queste reazioni, o tutte insieme. A volte è facile contenerle: una battuta, una coccola, una sorpresa, un po’ di musica e la cosa è fatta. Altre volte siamo impegnati, invece, in un difficile e delicatissimo processo per cercare di riportare la serenità all’interno del gruppo, perturbato da reazioni aggressive, da disequilibri dovuti a gesti non usuali verso se stessi o da episodi di estraniamento.
E dobbiamo aggiungere che ci sono giorni in cui anche i volontari si alzano con il piede sinistro…
Cosa dire? Difficile? No, umano.
Il luogo di lavoro non è il luogo in cui si arriva portando con sé solo le proprie competenze e lasciando a casa le fragilità. È il luogo dove si arriva interi, dove – se le censure personali non sono molto attive – si porta tutto, anche il litigio o la contrarietà vissuta appena svegli.
È sempre la sapienza relazionale a tenere tutto di noi insieme, quando siamo con gli altri, ed è una sapienza che matura in tutti piano piano, rispondendo a quanto la vita presenta ogni giorno, senza l’illusione che tutto possa svolgersi nella normalità. Già, ma quale sarebbe la normalità?
Maria Teresa Pati